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Quartiere Coppedè- Scopriamo Roma

Indirizzo: Piazza Mincio
Zona: Quartiere Trieste
Epoca: 1916 (presentazione del progetto)

Coppedè non è un vero e proprio quartiere, ma è un complesso di edifici situato all’interno del quartiere Trieste, verso Roma nord. Il nome deriva dall’architetto, Gino Coppedè, che lo ha progettato. Sono 18 palazzi e 27 tra palazzine ed edifici che hanno come nucleo piazza Mincio.
Il progetto vide la luce per la prima volta nel 1916. Nel 1921 furono terminati i palazzi degli Ambasciatori (quelli proprio attorno a piazza Mincio), mentre alla morte dell’architetto, avvenuta nel 1927, il quartiere è ancora incompiuto. Questo venne portato a termine da Paolo André.
Il tema che venne richiesto dalla commissione edilizia era quello romano, così Copperè si inspirò all’antico impero, in particolare del periodo imperiale. Alla base dello stile scelto, non ci sono idealizzazioni formali, bensì un approccio concreto, quasi artigianale all’architettura. La decorazione diventa elemento formale e scenografico che trasforma l’oggetto architettonico in pezzo unico d’autore. L’architettura diventa dunque un oggetto “di fantasia” una quinta scenica teatrale. Lungo i prospetti degli edifici possiamo ritrovare tali elementi decorativi di matrice artigianale, a partire da quello su via Tanaro, passando per quelli su via Tagliamento, in cui la torretta d’angolo presenta bassorilievi omaggianti divinità pagane risalenti all’epoca greco romana.

Leggenda vuole che Coppedè fosse un massone e che i palazzi, ricolmi di simbologia massonica ed esoterica, tracciassero un vero e proprio percorso iniziatico: dalle coppie di colonne che si rifanno alle bibliche colonne del Tempio di Salomone, alle tante torri e torrette che rimando alla Torre di Babele, proseguendo per i mascheroni e i grifoni dell’arte gotica con moltissimi richiami a miti classici e a tradizioni medievali.

La dimensione quasi fantastica di questo luogo suggestivo di Roma ha ispirato più di una pellicola: il quartiere Coppedè ha decisamente ammaliato il regista horror Dario Argento che lo ha utilizzato come location di due tra i suoi più famosi lungometraggi: “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma anche scene di altri film sono state girate qui come “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli, “Ultimo tango a Zagarolo”di Nando Cicero e “Audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy con Vittorio Gassman.

Gioacchino Belli- Scopriamo Roma

Nato (1791) e morto (1863) a Roma, Giuseppe Gioachino Belli è uno dei poeti romani più rappresentativo della vox populi del XIX secolo. Nato da famiglia vicino alla curia romana, si trovò già da bimbo a dover scappare dalla Città eterna con l’avvento della Prima Repubblica che vedeva, ispirata al modello francese, vedeva di malocchio lo stato Pontificio. La famiglia per aver salva la vita, dovettero scappare nel Regno delle Due Sicilie, dove però si trovarono costretti a vivere una vita di stenti. Quando Pio VII andò al potere, i Belli tornarono a Roma. In breve tempo il nostro poeta perse il padre, prima, e la madre, poi. Ciò lo vide costretto, a soli 16 anni a mettersi a lavorare in mansioni modeste.

In età adulta si dimostrò essere un reazionario: aveva odiato di riflesso la Prima Repubblica e osteggiato la Seconda. Belli aveva idee chiarissime e tutt’altro retrograde. Al centro dei suoi sonetti mise il popolo romano come protagonista indiscusso

Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, in gran parte concettosa e arguta, e le ritraggo col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua non italiana e neppur romana, ma romanesca.

A 19 anni diede vita all’Accademia Tiberina assieme a un gruppo di amici; anche se la passione letteraria doveva fare ogni giorno i conti con le ristrettezza economiche, che costrinsero la sua famiglia e poi lo stesso poeta a traslochi continui. A 25 anni, vi fu il matrimonio organizzato, con la benestante Maria Corti, vedova di 13 anni più grande di lui, che gli permise un minimo di agiatezza e un buon lavoro. Divenne vedovo nel 1837, ricominciando a cambiare spesso abitazione. L’Accademia Tiberina, di cui era diventato presidente, inizia a stargli stretta e decide, quindi, di uscirne e di viaggiare per Venezia, Milano, Firenze, dove incontra scrittori e letterati ed entra in contatto con i circoli illuministi.

Nel 1852 ottenne l’incarico di censore della morale politica: mentre si premurava di censurare i sonetti in romanesco, per non intralciare la carriera del figlio nell’amministrazione pontificia, condannò Rossini, Verdi e il teatro di Shakespeare.

Morì per un colpo apoplettico nel 1863. Sempre più bacchettone aveva affidato i propri manoscritti a un amico, monsignor Tizzani, con la preghiera di bruciarli. Per fortuna l’amico si guardò bene di eseguire tale volontà e, dopo la morte del Belli, li consegni al figlio il quale li fece arrivare fino a noi.

Mastro Titta “er boja de Roma”- Scopriamo Roma

Giovanni Bugatti, meglio conosciuto come Mastro Titta nacque nel 1779 e morì nel 1869.

“Er boja de Roma” è stato uno dei boia più longevi e “proficui” dello Stato Pontificio. Si calcola che nei 68 anni di servizio, furono 515 le esecuzioni capitali che eseguì.

Il suo personaggio divenne famoso, grazie alla sua solerzia e pignoleria con cui eseguiva uno dei lavori più ignobili al mondo.

Aveva anche una bottega presso cui riverniciva gli ombrelli. Si considerava un buon cristiano che operava per volere di Dio e della Chiesa, in maniera meticolosa, precisa e asettica. Difatti nelle numerosi raffigurazioni dell’epoca, non viene ritratto con alcuna emozione in volto, sia questa di commiserazione o sadismo.

Dickens, in un soggiorno romano, assistette a un’esecuzione che descrisse così:

Fu uno spettacolo brutto, sporco, ributtante; il cui unico scopo non era altro che un’opera di macelleri

Come spesso accade a chi esegue lavori “estremi, nella vita privata appare come una persona tranquilla e mansueta. Così Mastro Titta viene raffigurato come un uomo sobrio e decoroso.

Calò per l’ultima volta la scure a 85 anni (1864). Lo Stato Pontificio gli assegnò una pensione per i servizi svolti per così tanti anni. E’ a questo punto che, grazie all’abile mano di qualche ghost writer e la furbizia di Edoardo Perino, editore scaltro che cavalcava l’onda del successo grazie a pubblicazioni di stampo popolare, che uscì Memorie di un Boia, la biografia del Bugatti che ampliò l’eco del suo personaggio.

Mastro Titta morì nel 1869, a 90 anni, lì dove era sempre vissuto, a vicolo del Campanile 4. Non vi aspettate targhe commemorative però. Di lui potete osservare il temuto mantello rosso presso il museo criminologico di Roma.

Trilussa- Scopriamo Roma

Famoso poeta romanesco, nasce in via del Babuino 114 (qui potete trovare anche una targa commemorativa). Resta orfano a soli 3 anni e, a causa di ciò, crebbe sotto la guida del padrino, il marchese Ermenegildo Del Cinque, il quale molto probabilmente sarà colui il quale gli farà conoscere Filippo Chiappini poeta romano seguace del Belli.

La sua istruzione si interruppe presto (probabilmente in terza elementare) a causa della svogliatezza e dello scarso impegno.

Nel 1887, sul Rugantino (una rivista redatta in dialetto romanesco e nata nel 1848 e tutt’ora attiva Rugantino.it) appare L’invenzione della stampa, a firma con lo pseudonimo Trilussa (anagramma di Salustri). Da qui in poi il poeta pubblicò più di 50 poemi in due anni.

La crescente celebrità lo portò alla prima pubblicazione, nel 1889, con la raccolta Stelle de Roma, ed anche alle prime crithce. I seguaci del Belli, infatti, vedevano di cattivo occhio la scelta di mischiare troppo all’italiano il romanesco. Probabilmente fu proprio questa la fortuna di Trilussa: era questo il linguaggio parlato dalla piccola borghesia emergente a Roma, che rendeva il romano di più facile e immediata comprensione.

Nel 1893 entrò a far parte del giornale Don Chischiotte de Roma, occupandosi della parte relativa alla satira politica dell’epoca. Il giornale era a diffusione nazionale. Il costante consenso del pubblico, portò nel 1895 alla pubblicazione delle Favole rimodernate, di cui La cecala e la formica, fu la prima. In pratica Trilussa riprende le antiche favole di Esopo, per tirare fuori la morale del suo tempo.

Lo spirito umoristico, si traduceva anche in disegni dal tratto accattivante e in testi che scriveva anche per l’amico Petrolini. Amante della bella vita, preferiva osterie e caffè ai salotti e ai cenacoli intellettuali.

Nel 1950 Einaudi lo nominò senatore a vita, nomina che Trilussa commentò così: “M’hanno nominato senatore a morte“. Egli si spense, infatti, il 21 dicembre dello stesso anno a 79 anni.

Il colonnato di San Pietro- Scopriamo Roma

Indirizzo: Piazza S. Pietro

Zona: Vaticano

Epoca:: 1667

San Pietro è sicuramente una delle piazze più visitate di Roma, ma non tutti conoscono una curiosità riguardante il suo colonnato che circonda la Basilica.

Qui infatti, gli osservatori attenti potranno notare una incisione con su scritto “Centro del colonnato”. Posizionandoci sopra, potremo vedere un’unica fila di colonne in stile dorico, come le altre fossero sparite. Quest’illusione, fu creata da Bernini calcolando i raggi dell’ellisse formata dalla piazza, il cui centro ricade proprio sul punto dove è stata posizionata l’incisione.

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Cola di Rienzo- Scopriamo Roma

La nostra passeggiata virtuale ci fa conoscere un personaggio meno noto a cui è stata dedicata una delle vie dello shopping romano più famose: Cola Di Rienzo (al secolo Nicola di Lorenzo Gabrini). Nato nel 1313 da umili origini, grazie alla sua dialettica, riuscì a ricevere un’istruzione insolita per gli umili natali.

Siamo nella Roma di inizio XIV secolo: la città è un manipolo di circa 30mila anime, il papa è fuggito ad Avignone e governano gli arroganti baroni (Colonna, Orsini, Savelli). Cola sogna di ristabilire la civiltà comunale a Roma e con il suo bell’aspetto, la parlantina sveglia e il supporto del popolo, nel 1347 vi riesce. Peccato che inebriato dai suoi stessi successi, in poco tempo perde il senso della misura trasformandosi nel tiranno che cercava di combattere. Nel 1354 lo stesso popolo che lo aveva sostenuto si riversa in Campidoglio e, nella ressa, lo pugnalano. Il corpo straziato viene condotto di fronte la dimora dei Colonna alla chiesa di San Marcello in via Lata (oggi conosciuta come via del Corso) che così celebrarono il trionfo sul nemico.

Rione Prati- Scopriamo Roma

IX Rione di Roma
Legenda vuole che il nome derivi da una grossa pigna che originariamente si trovava su Largo di Torre Argentina, vicino le scomparse Terme di Agrippa. Probabilmente aveva la funzione di fontana e attualmente si trova in Vaticano nel cortile che prende il suo nome. Probabile che si trovi lì dal 750.
Tale pigna ha una menzione illustre, ovvero il XXXI canto dell’Inferno dantesco:
“La faccia sua mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma”

Al suo posto venne costruita una fontana in travertino a forma di pigna come forma di “risarcimento”. 
L’origine più probabile del nome è che esso derivi dalla Vigna Tedemari, che occupava gran parte del rione anche nella divisione trecentesca della città. Qui la zona viene chiamata semplicemente “Vigna” che, col passare degli anni è divenuta “pigna”. 
Numerosi sono i monumenti e luoghi di interesse che troviamo in questo rione: il Pantheon, il Collegio Romano, piazza Venezia, Piazza del Gesù, Piazza Grazioli e molt’altri. 
Pigna fu uno dei rioni che, durante il Medioevo, rimase abitato, aiutandone la sua conservazione originale. 

Il museo delle Mura Aureliane- Scopriamo Roma

Indirizzo: via di Porta San Sebastiano

Zona: Centro Storico

Epoca:: III secolo (prima edificazione sotto Aureliano)

All’inizio della via Appia troviamo Porta San Sebastiano, la porta delle Mura Aureliane meglio conservata e, forse, tra le più belle e imponenti. Originariamente conosciuta come Porta Appia, le fu cambiato nome in onore del martire sepolto nella basilica edificata lungo la via consolare.

L’aspetto attuale porta con sè almeno 5 periodi diversi relativi ai vari interventi di restauro effettuati.

Da qui è possibile accedere al museo dell Mura Aureliane: 400 metri di bastioni che arrivano fino alla via Cristoforo Colombo. Un percorso che incontra 10 torri e passa tramite un camminamento scoperto, dal quale si possono scorgere le feritoie originarie per gli arcieri e quelle quadrate riadeguate a metà del 1800 per l’utilizzo dei fucili impiegati durante gli scontri della Repubblica Romana.

Il museo è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 14 eccetto il lunedì. Puoi visitare il museo anche con il nostro Taxi City Tour “Unusual Rome“.

Illusione ottica a via Piccolomini- Scopriamo Roma

Indirizzo: via Niccolò Piccolomini

Zona: Villa Pamphili

Piano piano, grazie da Internet, sta diventando sempre più famosa, l’illusione ottica che gioca con la prospettiva della cupola di San Pietro, che si può ammirare da via Piccolomini, situata sul colle del Gianicolo.

La strada, lunga circa 300 metri, è perfettamente in piano e termina con un belvedere, privo di costruzioni e una vallata ricoperta di verde: insolito se pensate che ci troviamo in pieno centro storico!

Se all’inizio della strada procediamo a una velocità di 15/20 km/h possiamo vedere che la cupola si rimpicciolisce in maniera evidente. Facendo la strada al contrario voltiamoci (solo se però siete a bordo dei nostri taxi e non state guidando!): vedrete l’effetto opposto.

Perchè avviene ciò? I più romantici amano rispondere che non c’è una spiegazione scientifica, ma semplicemente che Roma è magica.

Un motivo però c’è ed è dato dal contesto creato dalla via. Infatti il fulcro della via, coincide esattamente con il “Cupolone” e ai margini, alberi e palazzi danno una certa omogeneità di immagine tutto ciò crea per l’occhio umano un’acutezza visiva migliore sui dettagli poichè il campo è stretto. All’inizio della strada registriamo un solo soggetto, la cupola, avanzando però l’occhio inizia a vedere anche lo spazio intorno, poichè prima lo sfondo era nascosto dai palazzi e viene percepita quindi, una dimensione differente.

Quale delle due spiegazioni vi piace di più?

I “nasoni” di Roma- Scopriamo Roma

Indirizzo: Roma

Zona: capillari per tutto il comune

Epoca: 1847

Uno dei simboli più legati alla città di Roma è sicuramente il “nasone“, la fontanella da cui è possibile bere acqua fresca e gratuita sempre (eccetto nei periodi di forte siccità come nell’estate 2017).

Le prime fontanelle sono del 1847, volute dal primo sindaco, Luigi Pinciani, che decise che a Roma l’acqua doveva essere gratuita.

Vennero realizzate in ghisa, con 1 metro e 20 di altezza. Prima della cannella singola, che gli volse per l’appunto il soprannome di “nasone”, c’erano tre teste di drago (come quella in foto, esempio di alcune ancora presenti). Famosa resta quella, ancora presente che da’ il nome a via delle Tre Cannelle.

Nel 1980, però, per arginare lo spreco di acqua venne aggiunto un antiestetico rubinetto. Quest’ultimo era così inguardabile che il progetto naufragò in poco tempo.

Si contano attualmente più di 2000 fontanelle in giro per Roma, di cui solo 280 nel centro storico. Questo dato fa della Caput mundi la città con più fontanelle pubbliche al mondo.

Per i più tecnologici, sappiate che esiste anche un’app con la mappa della posizione di tutte le fontanelle della città.