Il mestiere del tassista, non è mai stato facile. Lavoro invisibile agli occhi di molti, eppure fondamentale per garantire gli equilibri sociali e quelli inerenti alla viabilità, soprattutto nelle grandi città.

Oltre a svolgere un’attività di pubblica e privata utilità, il loro servizio serve infatti a decongestionare il traffico e risulta indispensabile per molteplici figure professionali, al fine di raggiungere luogo di lavoro o luoghi deputati ad appuntamenti di affari.

La figura professionale di questa categoria di lavoratori, rimasta impressa nella memoria di tutti i cinefili grazie a due mostri sacri della celluloide, trova la sua massima espressione ne “Il tassinaro” dell’italico Alberto Sordi e in “Taxi Driver“, interpretato dal Premio Oscar Robert De Niro.

 

 

Il tassinaro (1983), diretto dallo stesso Sordi, ci mostra uno spaccato di vita nazionale, nella figura di Pietro Marchetti, tassista romano, che da molti anni presta servizio sul suo taxi identificato come “Zara 87”, molto legato alla propria famiglia e contraddistinto da un inguaribile ottimismo, nonostante la sua attività frenetica e caotica per le strade di Roma.

Durante i suoi anni di attività, Pietro ha avuto l’onore e l’onere di trasportare molte persone, ognuna delle quali con i propri vizi e le proprie virtù. Tra questi personaggi, indelebili il ricordo della ragazza con intenti suicidi, l’anziano portiere che gli “commissiona di consegnare” un infante alla madre-prostituta, la coppia di improbabili sposi, la diva sul viale del tramonto, ma anche Giulio Andreotti e il regista Federico Fellini!

Con questa pellicola, come già detto da lui stesso diretta, oltre ad aver interpretato magistralmente il protagonista, Alberto Sordi vuole fornirci una panoramica della città eterna, ponendo l’accento sui suoi abitanti e sulle loro abitudini, spesso in netta contrapposizione con l’ingenuità, la modestia e onestà di Pietro. Quest’ultimo, sul cui personaggio gioca molto l’attore, viene dipinto come un serio lavoratore, un Supereroe quotidiano e normale, al contrario dei vari clienti che si succedono sul suo taxi.

Taxi Driver (1976), diretto dal maestro Martin Scorsese, racconta invece le gesta del problematico Travis Bickle in quel di New York, di professione, ovviamente, tassista.

E’ un uomo solo, senza rapporti sociali se non qualche sfuggevole chiacchierata con i colleghi. Si innamorerà follemente di Betsy, impiegata presso la staff elettorale del senatore di New York. Come facilmente intuibile, la relazione non potrà avere un lieto fine e questa delusione non farà altro che alimentare nella mente di Travis sentimenti di rivalsa e di ingiustizia verso la società.

Lo stato di alienazione del tassista sfocerà in un turbine di violenza e degrado che, in ogni caso, lo faranno apparire agli occhi della gente come un “moderno eroe metropolitano”, fino al culmine di quella che può considerarsi la sua missione: fare in modo che la società si accorga della sua esistenza.

Il film è, in sintesi, un chiaro rimprovero alla società odierna, che non offre supporto a tutti e che spesso rende invisibili le persone che hanno meno facilità a scalpitare per far udire la propria voce e per evidenziare le proprie necessità.

I due tassisti a confronto.

Ci troviamo quindi dinnanzi a due figure che svolgono la stessa attività, seppur concettualmente in totale contrapposizione.

  • Da una parte Pietro, dalla chiacchiera facile, che cerca, in quei pochi minuti con cui ci si interfaccia, di portare sulla retta via dell’onestà e del giusto comportamento le persone con le quali viene a contatto, proponendoci in ogni caso una visione della società attuale in maniera bonaria e divertente, senza denigrarla o senza promuovere critiche feroci.
  • Dall’altra, invece, il personaggio di Travis che viene travolto e scosso da una società, a suo dire degradante: forte con i deboli e debole con i forti. Sventola un aspro giudizio sui contatti umani, perennemente corrotti, indifferenti e superficiali, causa di una deriva morale ormai fuori controllo.

Le figure descritte fanno ormai parte dell’immaginario collettivo cinematografico e sono, ognuno a suo modo, portatori di messaggi che fanno riferimento alla società moderna.

Due modi diametralmente opposti di condurre la propria attività eppure, come due facce della stessa medaglia, riconducibili ad un unico filone, ovvero loro veicolano le proprie idee ed i propri credo attraverso la cosa che sanno fare meglio: guidare un taxi.

Il Tassista di Samarcanda, un nuovo film?

Oggi l’attività di Tassista si è profondamente evoluta, la concorrenza tra le compagnie ha portato le Cooperative – come Samarcanda – ad una formazione sempre più professionale. Il personale di Samarcanda, altamente formato e scelto in base a standard qualitativi di eccellenza, garantisce al cliente il trasporto per la destinazione convenuta nel modo più rapido, sicuro, gradevole e confortevole possibile.

Il Tassista di Samarcanda, se così si potesse intitolare il film, è un professionista complice del cliente e impegnato durante la corsa a far si che l’esperienza di viaggio del passeggero sul proprio mezzo sia qualcosa da ricordare con piacere e riguardo la quale fare passaparola, anche attraverso TripAdvisor ad esempio, con altri fruitori di questo fondamentale mezzo pubblico.

In conclusione, per riprendere il tema dell’articolo e se vogliamo trovare una morale un po’ ironica, possiamo certamente affermare che “è più salutare esercitare la professione di tassista a Roma che a New York”!